Con due orecchini e tanti tatuaggi si definisce tamarro, quando il suo procuratore gli ha parlato della Juve gli ha chiesto di ripeterlo con calma ma Michele Di Gregorio rivendica la gavetta fatta prima di arrivare a Madama in un'intervista a La Repòubblica.

Il momento di sconforto

Non è stata sempre tutto rose e fiori per il portiere ex Monza: "C’è stato un momento in cui qualcuno ci ha creduto più di me. A Pordenone, per esempio, mi ero sottostimato, dopo essermi sovrastimato a 19 anni. Il calcio giovanile genera false speranze. Se sei nella Primavera dell’Inter ti credi già giocatore, hai gli sponsor, le comodità, ti sembra tutto già fatto. Anch’io ero andato oltre, ma sono stato bravo a tornare indietro".

L'Inter non è un rimpianto

"Ci sono arrivato che non avevo ancora 7 anni e l’ho lasciata che ne avevo quasi 19. È un’esperienza che mi ha formato, perché mi sono stati messi a disposizione educatori prima che allenatori, che la differenza l’hanno fatta quando cominci a pensare che allenarsi è un sacrificio, quando vedi gli amici che vanno in gita, che cominciano a uscire la sera, che ti stai perdendo un sacco di prime volte. Nei cinque anni in prestito mi ha permesso di rimanere in piedi, tipo quando ero andato all’Avellino che subito dopo fallì.

In fondo, se ho reciso il legame con l’Inter è stato per una furbata di Galliani, il numero uno, che ha voluto il diritto di riscatto perché credeva tantissimo alla promozione del ‘suo’ Monza e ha avuto ragione. Non porto rancore. L’Inter ha fatto per me qualcosa che non potrò mai dimenticare, starmi vicino quando, a 13 anni, ho perso mio padre".

Il salto dal Monza alla Juve non l’ha disorientato: "Mi sono trovato subito a mio agio, tant’è che quando sono tornato dal ritiro ho detto alla famiglia: questo è il mio posto. Per assurdo, ci ho messo meno ad ambientarmi qui che altrove. Quando accompagno mio figlio Riccardo all’asilo e passo vicino allo Stadium, non posso fare a meno di pensare che sono felice".

Di Gregorio non è mai stato vero tifoso dell'Inter

Chiusura sulla fede calcistica: "In realtà in famiglia erano milanisti, mentre io ho sempre ammirato più i giocatori che le squadre: Kakà e Abbiati, Zanetti e Julio Cesar, Buffon e Del Piero, la cui non reazione quando a Roma prese quello schiaffo da Cufrè ha per me un valore immenso. Ho ammirato Handanovic, è stato un sogno allenarmi con lui, avere i suoi consigli. Non ho mai capito perché si debba odiare uno solo perché è di un’altra squadra".

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