Il 30 maggio resta una data da cancellare per tutti i tifosi della Roma. E' quella del suicidio di Agostino Di Bartolomei 30 anni fa e del ko in finale di coppa Campioni con il Liverpool 40 anni fa. Intervistato da Il Giornale uno dei protagonisti di quella serata, il portiere Bruce Grobbelaar, ricorda cosa accadde e parla della sua storia divisa tra l'esercito e la porta degli inglesi.

Grobbelaar partecipò alla guerra civile in Rhodesia

Prima di diventare calciatore Grobbelaar a 18 anni prestò servizio militare per l'esercito della Rhodesia nella guerra civile. «Sono stato costretto a uccidere tante persone, non posso dire quante. Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato», ha confessato. 

Grobbelaar e i rigori maledetti per la Roma

Per tutti i fan della Roma quella finale col Liverpool rappresenta ancora una ferita aperta. La squadra di Liedholm si arrese in casa ai calci di rigore (1-1 nei tempi regolamentari con Neal e Pruzzo in rete). Dagli undici metri risultarono fatali gli errori di Conti e Graziani, ipnotizzati da Bruce David Grobbelaar, ancora oggi bersaglio del popolo romanista. «Mort...tua» fra i messaggi più «calienti» che si possono leggere sul suo profilo Instagram: «Sono orgoglioso di aver fatto parte della storia del Liverpool. Io l'eroe della partita? Non sta a me dirlo, ma so che ho avuto il privilegio di vincere molti trofei con il Liverpool. Fummo accolti dai tifosi romanisti con pietre e sassi che entravano dai finestrini dell'autobus. Non c'è stato un ricordo più bello fino alla fine della partita, quando abbiamo vinto ai rigori».

Il portiere rivela come preparò i penalty: «Il mio allenatore Joe Fagan, pur essendo io il portiere, mi aveva selezionato come quinto rigorista! Quando mi avviai verso la porta, invece, mi disse di provare a distrarre in ogni modo gli avversari. Mi sentivo le gambe come due spaghetti flosci, la rete della porta mi ricordava gli spaghetti e così la morsicai. Quel balletto funzionò visto che sia Conti sia Graziani sbagliarono. Allora corsi per il campo per festeggiare. In mezzo al delirio, Joe incaricò Alan Kennedy di battere l'ultimo, quello che mi era stato assegnato. Meno male. Perché se l'avessi sbagliato...Quella sera ho fatto piangere molte persone, alcune per la gioia e altre per la sconfitta. Posso solo dire a tutti i tifosi romanisti: se il vostro portiere avesse fatto alla nostra squadra quello che io ho fatto alla Roma, non sarebbero orgogliosi di lui?».

Un anno dopo avrebbe vissuto da vicino la tragedia dell'Heysel: «Persero la vita tante persone in uno stadio che mai si sarebbe dovuto utilizzare. E non avremmo mai dovuto giocare. Quella sera pensai a tutto tranne che a danzare».

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